Nevicava. Questa è la prima cosa che ricordo, che ricordi chiunque fosse presente quel giovedì di dieci anni fa.
Nevicava ed era quasi marzo. 26 febbraio 2004.
In quel periodo ascoltavo De Andrè, quasi esclusivamente De Andrè. “Quasi esclusivamente” poteva descrivere quasi tutto della mia vita. I miei primi quattro mesi da fuori-sede a Ferrara.
Uscii controvoglia. Avrei evitato, ma avevo dato la mia parola ad un’amica, che mi aveva fatto intuire che un bidone le avrebbe creato problemi. Un parcheggio, un tempo lunghissimo sotto la neve, un tempo lunghissimo fuori dalla sala. “Ci paludiamo?”, e io mi sentivo più che altro impantanata. E poi le porte si sono aperte.
Ricordo un prima e un dopo, un’attesa e l’inatteso. Il vino, la sfida dialettica, la curiosità reciproca, serata atipica per me e per loro. Ricordo le domande, i volti, ma al ricordo di dieci anni fa si sovrappone quello che con quelle persone avrei poi condiviso. Prima e dopo. Dell’altra vita ho provato il sapore.
Due ginocchia nella neve. Una voce, poi in piedi, un nome nuovo, un nuovo inizio.
Mentre tornavo a casa era tutto bianco. E dal giorno dopo, bianco e nero. La sensazione di essere al proprio posto, e di non sapere nulla.
Forse di questi dieci anni in bianco e nero non ho capito un granché, o forse ho capito cose e poi le ho reinterpretate. Un Gioco, ma quando il tempo passa del Gioco rimangono persone e ricordi, bilanci mai completamente positivi o negativi. Del Gioco rimane qualcosa di vero, oro nel setaccio, la retorica diventa solo cornice. Ricorrenze, ricordi, rincorse. Effimero come la neve, solido come il metallo.
Da allora altro bianco si è aggiunto alla mia vita. Un abito da sposa. Il nome di mia figlia. Fogli su fogli di progetti, revisioni, esami. Una casa tutta bianca. Biglietti di treni, tantissimi. Capelli, certo.
Quindi oggi è il mio compleanno. Il compleanno di un nome che pochi conoscono. Dieci anni in un Ordine che ne ha cinquanta (o quasi).
Nero. Bianco. Iride.